Nel Nostro Giardino

Nel nostro giardino, tra il verde intenso delle piante mediterranee e i profumi resinosi che s’alzano nell’aria, riposano due reperti antichi: una porzione di colonna e una vasca con un’iscrizione romana, silenziosi testimoni di un passato remoto che ancora parla a chi ha occhi per ascoltare. Non si tratta di semplici oggetti: provengono dal sito di Biora, un luogo che rappresenta la radice storica più profonda di questo territorio. È proprio da lì che ha origine l’attuale borgo di Serri, il quale affonda le sue origini in epoca romana, tra il III e il II secolo avanti Cristo. Raccontano che Biora fosse un avamposto romano situato a valle, lungo la strada che collegava Cagliari con l’interno della Sardegna e che i legionari percorrevano per raggiungere le montagne del Nuorese. Quella via, passante per Isili, seguiva un tracciato antico, probabilmente già battuto dai nuragici e poi sistemato e reso più sicuro dalle legioni romane.

Il sito di Biora si estendeva per circa 26 ettari e mostrava già allora un’organizzazione precisa, con edifici in muratura, necropoli, cisterne e tracce di impianti termali. Alcuni resti fanno pensare alla presenza di un edificio pubblico, forse un piccolo impianto termale con sistema di ipocausto per il riscaldamento delle acque, come attestano i frammenti di laterizi e tubuli rinvenuti durante le campagne di scavo. Il tutto era immerso in un paesaggio caratterizzato da querce, lentischi e ginepri, molto simile a quello che circonda ancora oggi il nostro giardino. Gli archeologi hanno identificato anche i resti di una chiesa paleocristiana e bizantina, costruita nei secoli successivi sopra una struttura romana, in quel fenomeno di riutilizzo continuo che ha segnato tutta la storia della Sardegna.

La funzione di Biora non era secondaria: in un’epoca in cui le coste erano più facilmente raggiungibili e controllate, ma l’interno dell’isola rimaneva spesso ostile e difficile da conquistare, gli avamposti come questo servivano per mantenere il controllo sul territorio e facilitare lo spostamento delle truppe e delle merci. Le legioni romane, abituate alle dure campagne in terre lontane, avevano imparato ad apprezzare le qualità strategiche degli altipiani e delle valli sarde. La romanizzazione delle cosiddette Civitates Barbariae, che comprendeva anche i territori più impervi, non avvenne soltanto attraverso la forza delle armi, ma grazie anche a un lavoro paziente di integrazione: strade, ponti, acquedotti, e la diffusione della lingua latina e del diritto romano. Biora rappresenta dunque un tassello prezioso di questa storia.

Ma il destino dell’antico abitato fu segnato da un evento tragico. Le fonti locali, corroborate da antiche cronache e dalla memoria popolare, raccontano di una pestilenza che colpì duramente la popolazione di Biora, decimandola. I pochi superstiti furono costretti a cercare rifugio altrove, lontano dalle zone basse e umide che favorivano il propagarsi della malattia. Così, fuggirono verso l’altopiano, più salubre e protetto, dove oggi sorge il paese di Serri. Questo trasferimento segnò una svolta fondamentale per la comunità locale: il vecchio sito venne progressivamente abbandonato, mentre il nuovo insediamento, costruito a circa 600 metri di altitudine, iniziò a prosperare.

Il nuovo borgo sorse attorno a edifici religiosi e a un nucleo abitativo compatto. Nei secoli, vennero erette la chiesa di San Basilio Magno, risalente al XII secolo, e quella di Sant’Antonio Abate nel XVIII secolo. Ma sotto la superficie visibile del moderno paese continuavano a celarsi le testimonianze di un passato più antico. Il legame tra Serri e il suo antenato Biora rimase vivo, non solo nei racconti tramandati di generazione in generazione, ma anche nei toponimi e nei resti materiali. Ancora oggi, nomi come Su Moguru o Sa Cungiadura Manna evocano quei tempi remoti. Passeggiando tra i sentieri che conducono a valle, è possibile scorgere tracce dei ruderi antichi, che riaffiorano tra le rocce e la vegetazione.

Ma Serri non è solo erede di Biora. È anche uno dei più importanti siti archeologici della Sardegna. Qui, infatti, si trova il celebre Santuario Nuragico di Santa Vittoria, un luogo sacro frequentato sin dall’età del Bronzo e poi ancora in epoca romana e bizantina. Gli scavi, iniziati nei primi del Novecento e proseguiti negli anni, hanno restituito un quadro straordinario della continuità d’uso del sito: recinti sacri, pozzi votivi, modellini di nuraghi in bronzo e ceramiche provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo. È come se in questo angolo della Sardegna si fosse concentrato un flusso continuo di culture e di civiltà, che si sono stratificate senza mai cancellarsi del tutto.

Nel corso di questi scavi, accanto alle testimonianze nuragiche e bizantine, sono riaffiorati anche reperti di epoca romana, che riconducono direttamente all’antica Biora. È in questo contesto che sono emerse colonne, iscrizioni, frammenti architettonici, come quelli che oggi abbiamo l’onore di ospitare nel nostro giardino. La porzione di colonna potrebbe essere appartenuta a un edificio pubblico o religioso, mentre la vasca con iscrizione suggerisce una funzione rituale o forse legata agli antichi impianti termali. Sono oggetti che ci parlano di una civiltà raffinata, capace di fondere funzionalità e bellezza.

Oggi, questi reperti vivono una nuova vita tra i vialetti e le terrazze del nostro B&B. Immersi in un giardino di circa duemila metri quadrati, affacciato sulla valle del Pardu e sulla Giara di Serri, offrono agli ospiti un’occasione unica per entrare in contatto diretto con la storia. Passeggiando tra le piante di mirto, lentisco, corbezzolo e ginepro, si può quasi sentire il respiro del tempo. Ogni frammento di pietra racconta una storia: di legionari in marcia, di mercanti in viaggio, di popolazioni che lottavano contro la malattia e la guerra, ma anche di riti e credenze che hanno attraversato i secoli.

Per noi che viviamo quotidianamente questo luogo, i reperti non sono semplici oggetti: sono parte integrante del paesaggio, del nostro rapporto con la terra e con il passato. Ogni volta che il sole si posa sulla superficie liscia della colonna, o che la pioggia disegna rivoli sulla vasca di pietra, ci sembra di udire un’eco lontana, un richiamo alla memoria di Biora. E ogni ospite che si sofferma ad osservare questi manufatti partecipa, anche se solo per un istante, a quel lungo filo di storia che ci lega a chi è venuto prima di noi.